Cataratto, Virà, 2017

Mi fa lo stesso effetto di quando ho sentito per la prima volta un disco di Bon Iver. C’è una verità in questo vino, e la verità emoziona, sempre, anche in questi tempi di fake news, in cui non se la passa troppo bene, la verità.
Un vino che sa di montagne, di boschi, un vino che in certe degustazioni ufficiali, frigidamente a-emozionali, definirebbero torbido, velato, impreciso, come la vita.
Un vino che in un mondo migliore, più giusto e meno volgare di questo, definiremmo un bel vino, più che vero e verista. Come un tela di Leto, una novella di Verga, un riff di Keith Richards, che ci racconta un posto: Gratteri, che con la sua verde pace, sembra sfuggire, alla volgarità di questo millennio appena maggiorenne.
Intenso, nel colore arancione e sul palato, d’altronde orange, più che the new black sembra essere, nelle sue migliori espressioni, the new white.
Spezie bianche al naso, agrumi, e autunno, in bocca uno swing, che i poliziotti della qualità definirebbero persistenza, io chiamo, umilmente, impigliarsi, a lungo, nei ricordi.
Un cataratto come dovrebbero farlo tutti, un vino che racconta una storia e un luogo che sa di montagna, ma guarda il mare, sapido e vegetale, meravigliosamente umile.
Da abbinare col primo disco di Bon Iver, meglio se in vinile, se no, mettete a ripetizione Skinny Love, chiudete gli occhi, bevete, anche senza moderazione.